Diego Bernardoni, Coordinatore del Servizio Oepa della Cooperativa Meta, che cura per conto del Municipio VII questo fondamentale servizio per l’integrazione delle alunne e degli alunni diversamente abili di alcune scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di I grado del territorio, ha raccolto per il nostro portale l’esperienza di una ‘buona pratica’: l’inclusione non è, purtroppo, da dare per scontata, soprattutto in questa emergenza sanitaria, ma è un processo che si costruisce giorno per giorno, a partire dalla scuola e da chi la vive quotidianamente da ogni prospettiva.
Nei giorni tra l’8 e il 12 Marzo, l’avvicendarsi sui media di notizie ufficiose riguardo un possibile, nuovo lockdown (nella forma aggiornata di ripristino della Zona Rossa) aveva impensierito non poco tutto il comparto scuola, il Servizio Oepa (Operatore Educativo Per l’Autonomia) che in esso opera, e le famiglie degli alunni. Tra queste, in particolare i genitori degli alunni con maggiori difficoltà, che al pensiero delle difficoltà di organizzazione ‘logistica’ univano l’ansia, e spesso l’angoscia, legata ai possibili esiti regressivi sui propri figli della (per quanto temporanea) lontananza dai propri compagni di classe e, più in generale, dall’’esperienza scuola’.
Nella Primavera dello scorso anno il Covid, e le sue conseguenze, sono irrotti all’improvviso, costringendo la società nel suo complesso, e ognuno di noi nel proprio quotidiano, ad una profonda revisione di comportamenti e priorità, ripartendo dai nostri valori: è stato fin da subito molto chiaro che, dato il carattere così ‘nascosto’, potremmo dire, e difficilmente definibile del pericolo che stavamo affrontando, gli individui più fragili rischiavano di veder stravolta la propria realtà senza potersi rapportare con qualcosa di concreto che giustificasse tale cambiamento.
Il bombardamento di notizie ricevute, che già mediamente fatichiamo a filtrare e ad assimilare, per le persone più in difficoltà, in particolare tra i bambini e ragazzi, aumenta soltanto la confusione, e spesso lo smarrimento, nel vedere messi in discussione, in poco tempo, tanti e spesso necessari punti di riferimento. Tra le priorità, quindi, c’era quella di dare loro una risposta, anzi di più, una restituzione di quanto stava accadendo, ma non demandando tutto alla cerchia familiare, chiaramente fondamentale, ma anche a livello di comunità, di società. E la prima comunità in cui il bambino si inserisce è LA SCUOLA.
Il Municipio VII lo scorso anno, affrontando caparbiamente tutti i passaggi burocratici e normativi necessari per attivare, in maniera del tutto inedita, la rimodulazione del Servizio Oepa anche da remoto, ha consentito che, anche a distanza, si ricostituissero al completo le equipe di insegnanti e operatori che più da vicino seguono quotidianamente gli alunni più bisognosi. Questo non va inteso come un risultato meramente ‘formale’: stiamo infatti parlando del mantenimento di un elemento STRUTTURALE di continuità in un quadro generale totalmente alterato. E’ stata l’equipe nel suo complesso, infatti, che ha garantito l’essenziale mediazione tra questi alunni e non solo il resto della classe, ma, ancora prima, con un nuovo e complesso interlocutore, il mezzo informatico che si fa aula, influenzandone profondamente le dinamiche.
Nei giorni che hanno preceduto il 12 Marzo di quest’anno, pertanto, le avvisaglie di una possibile, nuova chiusura hanno riattivato la preoccupazione per una pronta, consapevole, e specifica tutela di chi, chiuse le scuole, poteva subirne il maggior contraccolpo. Ora, il primum movens di questo articolo, è la possibilità di raccontare che, al netto di fisiologici ‘assestamenti’ e ‘compromessi’ (invero molto pochi), quest’anno non ci sono stati contraccolpi, disinnescati in anticipo da una serie di elementi che è importante prendere in analisi.
Tecnicamente, il fatto che tutte le Scuole avessero approntato l’anno scorso le piattaforme di classi digitali (e i relativi account per insegnanti e operatori), ha consentito di riattivare velocemente l’organizzazione della DAD anche per gli Oepa, non appena recepito il puntuale via libera da parte del Municipio, che ha garantito in questo modo sin dal primo giorno di chiusura delle scuole la copertura degli alunni più fragili da parte dei propri operatori di riferimento. A questo proposito, è d’obbligo una precisazione. Le Scuole hanno dimostrato tenere molto a che la Dad potesse contare sin dall’inizio sulla collaborazione tra insegnanti e Oepa, constatata la positiva sinergia espressa da questi lo scorso anno anche da remoto.
Quest’unità di intenti tra Municipio, Scuole e Cooperative è risultata fondamentale, ognuno degli attori recependo, integrando con il proprio ruolo e dando ulteriore sviluppo all’attività degli altri due. Ma quanto fatto nelle due settimane prima di Pasqua non è stato soltanto la riproposizione della pur efficace esperienza dello scorso anno. Molti semi piantati lo scorso anno, in un terreno, possiamo dirlo, quanto mai impervio, hanno quest’anno dato frutti significativi. Uno su tutti, la possibilità, per le famiglie degli alunni con maggiori necessità, di poter richiedere la prosecuzione delle attività in presenza per il proprio figlio, e il conseguente mandato alla Scuola di organizzare, all’interno della classe di questi, un gruppo di compagni più o meno esteso che gli consentisse di dare continuità alla sua esperienza di gruppo, sempre mediata da docenti e Oepa.
A conferma dell’importanza di questa evoluzione della formula, moltissime famiglie ne hanno fatto richiesta, anche a fronte della contingente possibilità di fare richiesta (come già sperimentato alla fine dello scorso Anno Scolastico) della presenza dell’Oepa a casa. E non è un caso. Il Municipio, le Scuole, le Cooperative non si stanno semplicemente misurando con l’emergenza, ma hanno raccolto la sfida di pensare e realizzare ‘l’inclusione al tempo del Covid’.
Inclusione non è solo integrazione, non è solo stare insieme, non è solo ‘essere connessi’: inclusione è vedere l’individuo, coglierne i bisogni ma, soprattutto, le potenzialità, inserendoli nelle dinamiche del gruppo non soltanto perché questo se ne faccia semplicemente carico (ottica assistenziale), ma in modo da sentirlo parte di sè, fuori dalla prospettiva lui-loro, lui-noi. Non è retorica, non sono sofismi.
Questo è successo, è realtà: tre giorni fa ho partecipato ad un Glho in cui si discuteva riguardo la permanenza o meno all’infanzia di un’alunna. E’ una decisione importante, per la quale è necessario far convergere molti elementi, ma uno su tutti è emerso: nelle due settimane di chiusura l’alunna è rimasta in presenza a scuola, con un gruppo di compagni coetanei. E’ risultato molto evidente come la bambina, con i coetanei, ‘smetta’ i panni della bambina piccola, per assumere atteggiamenti più responsabili e coerenti con la sua età. Tutto ciò resta molto sotto traccia all’interno del grande gruppo eterogeneo, in cui con estrema facilità la bambina assume tratti caratteriali immaturi rispetto alle sue reali capacità. Capacità, appunto, e potenzialità: l’esperienza di quelle due settimane ha messo in primo piano, in vivo, un aspetto che poteva essere colto prima soprattutto per inferenza, e comunque non con la medesima definizione (grazie alla quale la decisione di passaggio alle elementari è stata suffragata da elementi quanto mai empirici).
E’ un risultato frutto del contributo di molti: il Municipio che ha consentito (tempestivamente) il Servizio in presenza, La Scuola che ha organizzato il gruppo-classe di coetanei, l’Oepa che ha mediato l’esperienza tra l’alunna e il neonato gruppo. Ma tutto questo non avrebbe avuto un senso compiuto senza l’adesione all’iniziativa da parte delle famiglie dei compagni dell’alunna, che sono andati oltre le esitazioni legate al Covid, o alle esigenze da Zona Rossa, per dare l’opportunità ai propri figli di essere società inclusiva anche in tempi di emergenza.
Stiamo vivendo una nuova epoca di ‘Contagio’ in senso lato (da Sars 19, ma anche da opinioni incompetenti, da fake news, da sospetto), cui siamo in dovere, da testimoni e parziali artefici, di opporre la ‘contagiosità’ del pensiero, delle idee meditate (e dei loro risultati), della fiducia che ogni elemento di questa filiera ha raccolto dagli altri ed ha a sua volta trasmesso, coniugandoli in un significato, prima ancora che in un’azione, comune. Più che di inclusione, parlerei di inclusioni, tante quanti sono gli alunni e le alunne che ci interrogano su questo punto, e a cui sarebbe limitante, impreciso e, di fatto, sbagliato, cercare di dare una risposta ‘buona per tutte le stagioni’.
Altro esempio. Un alunno del Bangladesh, nelle due settimane di Zona Rossa, ha invece tratto particolare vantaggio dal lavoro svolto in Dad, che in poco tempo, evitandogli le distrazioni da parte di alcuni compagni ‘burrascosi’, gli ha permesso di rimettersi in pari con il programma, che ora, riaperte le scuole, ha ripreso a seguire insieme al resto della classe, e continuerà questo lavoro in comune anche quando, tra qualche settimana, dovrà trasferirsi per alcuni mesi nel Paese d’origine (con collegamenti giornalieri da remoto, sempre mediati da docente e Oepa, con tutta la classe). Come dicevo, tante inclusioni, diverse soluzioni, ma un senso.
Come prodromo della futura , più ampia, comunità, la Scuola non può in assoluto esentare gli alunni, anche quelli più fragili, dal considerare anche situazioni drammatiche, e sicuramente il Covid è entrato di forza nelle abitudini, nei discorsi, nelle sicurezze delle aule scolastiche, spesso scardinandole e generando ansia. Ma tutto questo, come hanno dimostrato le passate settimane, ha messo alla prova, e rafforzato (questo il nostro obiettivo), la capacità di essere comunità nella difficoltà, non lasciando indietro nessuno e, anzi, trovando il motivo fondante del proprio essere vera comunità esattamente nell’accogliere persone più fragili (come avvenuto, concretamente, nella formazione dei gruppi in presenza durante la chiusura).
Giustamente si parla sempre di più di IMPATTO SOCIALE, e di VALUTAZIONE DELL’IMPATTO SOCIALE che hanno gli interventi operati dagli Enti e dagli Organismi, un bilancio che deve tener conto di molte voci specifiche. A conclusione di questo mio racconto, desidero prendere in prestito questa espressione, IMPATTO SOCIALE, utilizzandola forse in maniera non del tutto ortodossa, eppure convinto di non tradirne il significato più vero e profondo quando dico che quanto è stato fatto da Municipio, Scuole, Cooperative, l’anno scorso, poi proseguito e sviluppato quest’anno, ha costituito un precedente, ha lasciato un segno, ha fatto e ha indicato la strada per continuare a fare la differenza per questi alunni e le loro famiglie: IMPATTO SOCIALE, appunto.